Simultaneità accelerata”, “caleidoscopio sociale” i termini usati da chi descrive le dinamiche del lavoro oggi fanno trasparire tutta la complessità del raccontare un fenomeno  economico e sociale sempre più articolato e caratterizzato dalla molteplicità degli approcci.

Fino a qualche anno fa era chiaro a tutti che il percorso “riuscito” di un umano moderno partiva dall’istruzione che consentiva di ottenere un lavoro che garantiva il sostentamento e permetteva di ottenere una pensione che accompagnava alla morte senza particolari preoccupazioni materiali, e comunque con la garanzia del cibo quotidiano.

Questo schema caratterizzante il cosiddetto Occidente, la parte ricca del mondo, è andato frantumandosi per una serie di cause, a volte concatenate: la digitalizzazione degli anni ottanta dello scorso secolo ha probabilmente segnato un punto di inizio, determinando nuove forme di lavoro sempre meno “costringenti”, la globalizzazione che ha portato all’apertura del WTO alla Cina a fine anni novanta, la post globalizzazione iniziata con l’attacco alle torre gemelle, il trasferimento di ricchezza verso aree asiatiche e mediorientali, il lungo percorso di calo delle nascite delle società “benestanti”, i processi di migrazione di massa da alcune aree del mondo verso la “fortezza Europa” sono tutte eventi che hanno contributo a distruggere il modello di percorso di vita descritto sopra.

Oggi il trinomio “scuola, lavoro, pensione” non è più. In un paese come l’Italia, la scuola è accusata di non preparare al mondo del lavoro; i giovani vedono il lavoro come una eventualità, e non come una necessità (complice anche il bombardamento di allerte sul rischio di sostituzione degli umani con le macchine); la pensione è una chimera sulla quale non si conta perché “i soldi finiranno prima”.

Il dibattito sul concetto di reddito universale, in Italia sperimentato nell’accezione di reddito di cittadinanza, non può non influire sulla visione delle giovani generazione che stanno già, di fatto, vivendo a prescindere dal lavoro in un mix di Naspi, sostegno familiare e lavoro precario o super-precario (vedi in merito “riders” e affini, o gli inventari nei supermercati svolti da lavoratori autonomi occasionali che pure utilizzano dispositivi messi a disposizione dall’azienda incaricata del lavoro).

Da qui la necessità di affrontare complesse letture di un fenomeno sempre più complesso.

Lo scorso dicembre, i soci della sezione aziende Metalmeccanica hanno potuto ascoltare una disamina della prof.sssa Silvestrelli di UNIMC sulle difficoltà affrontate nel reperimento di personale qualificato che, partendo dalle cause strutturali e congiunturali, sia economiche che sociali che legate al sistema di istruzione e alle strategie aziendali, ha fornito proposte di interventi sistemici che a aziendali per ridurre queste difficoltà. (vedi allegato).

Come ulteriore contributo alla riflessione su queste tematiche vogliamo proporre un articolo di Daniele Marini (docente dell’Università di Padova), pubblicato sul sole 24 ore. Sua l’espressione “caleidoscopio sociale”, ad illustrare i diversi approcci, le diverse percezioni relative al lavoro, le diverse “culture del lavoro” legate alla generazione alla quale si appartiene.

Di “simultaneità accelerata” parla invece Gabrielle Gabrielli, docente LUISS, presidente dell’associazione Lavoroperlapersona, ad illustrare la velocità dirompente dei cambiamenti in atto, ma anche la frammentazione dei luoghi e dei tempi del lavoro, individuando l’urgenza di processi organizzativi che sappiano collegare la gestione delle persone alle innovazioni tecniche e tecnologiche.

 

La riflessione indotta da queste letture porta a chiedersi cosa si intende, al giorno d’oggi, per rapporto di lavoro in azienda. E’ ancora la disponibilità di tempo in cambio di salario? Si esaurisce nello scambio tra lavoro e fonte di sostentamento? E’ un tempo escluso dalla vita delle persone, e che da questa non deve essere influenzato? E’ caratterizzato dal tempo e dal luogo della prestazione lavorativa?

Se così non fosse, e, come molti dicono, soprattutto con riguardo alle nuove generazioni, il lavoro è uno dei momenti della vita, dal quale ci si aspetta non solo salario ma anche riconoscimento delle caratteristiche intrinseche e della persona e delle sue esigenze di “essere umano”, sorge la domanda: Le aziende sono equipaggiate per gestire questo tipo di rapporto di lavoro?

La risposta è probabilmente si per molte aziende che gestiscono la funzione e fanno dei collaboratori un asset distintivo, riconoscendone l’importanza strategica per lo svolgimento del business. Ma per quanto riguarda le piccole e piccolissime aziende? Possono ancora permettersi di limitare la funzione alla mera gestione amministrativa di ferie, permessi, buste paga?

Probabilmente no! L’osservazione delle realtà imprenditoriali, anche piccole e piccolissime, porta a pensare  che neanche queste possano più esimersi dal preoccuparsi della natura “umana” dei loro collaboratori. Non solo perché  è opportuno, ma anche perché è conveniente e anche necessario considerata la necessità di collaborare al meglio con la dimensione tecnologica digitale che rende i risultati migliori proprio se utilizzata in modelli organizzativi adeguati. Questo è l’assioma che governa le logiche di industria 4.0 e, non a caso, i sistemi imprenditoriali che meglio interagiscono con queste logiche sono anche quelle che meglio sono in grado di adottare modelli organizzativi maggiormente definiti attorno alle PERSONE!

 

SO

 Vedi le altre risposte