Prezzi dell’energia in calo, inflazione ancora alta, tassi in forte rialzo. Tra luci e ombre, l’economia italiana va meglio dell’atteso. Industria in flessione, costruzioni in difficoltà, ma servizi stabili.

Tengono il reddito totale delle famiglie e i consumi, regge il mercato del lavoro. Export incerto: nell’Eurozona più ottimismo, segnali misti negli USA, mentre in Cina diverse ombre si addensano sulla crescita

L’economia italiana e internazionale in breve
  • Luci e ombre. Il prezzo del gas ai livelli più bassi da oltre un anno e la tenuta del potere d’acquisto totale delle famiglie (in termini reali) sostengono l’attività, su livelli migliori di quanto ci si attendesse, come confermato da fiducia e indici di Borsa in recupero. In negativo agisce il forte rialzo dei tassi, che toglie risorse a investimenti e consumi, colpiti anche dall’inflazione, in calo ma ancora elevata.
  • Meno cara l’energia. Il prezzo del gas ha aperto il 2023 in netta flessione: 65 euro/mwh in media a gennaio, da 114 a dicembre (14 nel 2019); un ribasso favorito da stock europei di gas ancora alti, clima mite e consumi frenati. Per il petrolio prosegue la lenta discesa (80 dollari al barile, da 81 a dicembre), grazie a una produzione che ha superato una domanda piatta. In lieve rialzo, invece, i prezzi non-energy (+1,6% a novembre-dicembre), dopo la flessione dei mesi precedenti, sui livelli alti del 2021.
  • Forte stretta sui tassi. A novembre il costo del credito per le imprese italiane ha continuato a salire: 3,37% per le PMI (1,74% a inizio 2022), 2,67% per le grandi (da 0,76%). Un ulteriore aggravio di costi, che avviene a seguito del rialzo dei tassi di riferimento. Il BTP a gennaio è a 3,76% da 4,59% a fine 2022, ma il trend dei tassi resta al rialzo: la BCE ha annunciato nuovi aumenti del tasso ufficiale nei prossimi mesi (secondo i future, dal 2,50% attuale a 3,50% entro dicembre 2023).
  • Industria in flessione. La produzione ha registrato un altro calo a novembre (-0,3%; -1,8% a settembre e -1,1% a ottobre); la manifattura regge (+0,1%), con ampia eterogeneità tra comparti, mentre si contrae il settore delle forniture energetiche (-4,5%). Per il 4° trimestre la variazione acquisita è molto negativa per il totale industria (-1,7%, -0,6% nel 3°). I dati qualitativi a dicembre segnalano uno scenario debole: gli ordini continuano a diminuire, le scorte ad aumentare, le attese di rimbalzo si ridimensionano; il PMI è fermo in area di lieve contrazione (48,5 da 48,4), la fiducia delle imprese segna una nuova discesa.
  • Costruzioni in difficoltà. Il settore ha iniziato male il 4° trimestre (-0,5% la produzione a ottobre-novembre), dopo il calo nel 3° e l’espansione precedente. La fase difficile è attesa proseguire: i dati sui permessi di costruire segnalano un forte calo (-12,6% nei mesi estivi in termini di superfici residenziali).
  • Servizi stabili. A novembre, il commercio al dettaglio cresce (+0,4%), il turismo resta sopra il pre-Covid (+3,6%). Gli indicatori segnalano stabilizzazione nei servizi nel 4° trimestre: a dicembre, il PMI ha quasi raggiunto la soglia neutrale (49,9 da 49,5), la fiducia delle imprese è risalita per il secondo mese.
  • Tengono reddito e consumi. L’inflazione, ancora alta a dicembre (+11,6% da +11,8% a novembre) e maggiore per le famiglie meno abbienti (+18,4% contro +9,9%), minaccia i consumi, la cui risalita, fino al 3° trimestre, è stata favorita dalla tenuta del reddito reale (anche grazie a più occupazione) e dagli extra-risparmi passati (stabilizzata ora a 7,1% la propensione). Sono attese decisioni di spesa prudenti.
  • Regge il mercato del lavoro. I dati mostrano una buona performance nel 2022 in termini di occupati: +50mila a novembre da settembre (e +280mila da gennaio). Ciò spiega, in parte, la diminuzione del numero di disoccupati (-26mila negli ultimi due mesi). Positivo anche il costante calo degli inattivi.
  • Export incerto. Prosegue la dinamica altalenante dell’export italiano, in rimbalzo a novembre (+3,8%, dopo -1,5%), anche grazie a maxi-vendite nella cantieristica navale. Fanno da traino i paesi extra-UE mentre l’export intra-area è stazionario: USA e Turchia si confermano i mercati più dinamici, fiacche le vendite in Cina, in contrazione in Russia; fa da freno, anche in prospettiva, l’indebolimento del mercato tedesco. Le indicazioni per inizio 2023 restano negative secondo gli ordini manifatturieri esteri, a fronte di una domanda mondiale debole, come confermano i dati sul commercio in area di contrazione.
  • Eurozona: più ottimismo. In calo l’inflazione nell’area (+9,2% a dicembre, da un picco di +10,6%), anche se in ritardo di 4 mesi sugli USA, dove è inferiore di quasi tre punti (+6,5%). Questo dato si affianca ad altri altrettanto positivi: il rialzo dell’indicatore di sentiment (95,8 a dicembre, da 94,0); il PMI composito che segnala una flessione più contenuta (49,2 da 47,8); il rimbalzo della produzione industriale, oltre le attese (+1,0% a novembre). Tuttavia, l’incertezza e la spinta restrittiva che proviene dai tassi tengono ancora alti i timori di una (moderata) recessione nel 2023 nell’area euro.
  • USA: segnali misti. Il PIL americano nel 3° trimestre 2022 è cresciuto più delle stime iniziali (+0,8%), grazie a miglioramento dei consumi (+0,6% da +0,5% nel 2°) e accelerazione di spesa pubblica (+0,9% da -0,4%) ed esportazioni nette (+0,7% da +0,4%), che hanno beneficiato del recupero di quasi il 9% dell’euro sul dollaro. Viceversa, ancora in calo gli investimenti (-0,9%), dato coerente con la debolezza dell’attività: -0,7% la produzione industriale; in area recessiva il PMI e l’ISM manifatturieri (46,2 e 48,4), l’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago (44,9) e gli indici di attività manifatturiera territoriali.

 

Focus del mese - Cina: diverse ombre si addensano sulla crescita

  • Crescita al minimo nel 2022, ma in accelerazione. La crescita del PIL è attesa passare da un +3,0% nel 2022 (peggior dato degli ultimi 40 anni, eccetto il 2020) a un valore intorno al +4,5% nel 2023, tornando sul sentiero di graduale rallentamento seguito in precedenza. La ripartenza potrebbe vacillare a inizio anno per l’impennata nei contagi da Covid, ma è atteso un graduale miglioramento di domanda domestica e produzione industriale dopo la frenata di fine 2022. I dati PMI di dicembre confermano questa tendenza, con valori ancora in territorio negativo ma in miglioramento e con la componente dei nuovi ordini nei servizi che segna il suo massimo da maggio. L'inflazione resta finora moderata (+1,8% a dicembre), riflettendo la debole domanda dei consumatori e la crescita trainata più dall'offerta. Nel medio termine, i rischi per l’economia derivano da mercato immobiliare, tendenze demografiche, tensioni geopolitiche.
  • L’uscita dalla politica “zero-Covid” dovrebbe facilitare la ripresa. Dopo tre anni di perseguimento della completa eliminazione del Covid all'interno dei suoi confini, la Cina ha rimosso dall'8 gennaio 2023 le misure draconiane di quarantena. La carenza di manodopera interna legata all’iniziale crescita dei contagi e il conseguente rallentamento della produzione industriale dovrebbero essere di breve durata. Ma la fiducia di imprese e consumatori potrebbe riprendersi più gradualmente. L’impatto delle restrizioni imposte da alcuni paesi ai viaggiatori provenienti dalla Cina dovrebbe essere contenuto, come anche quello delle misure adottate (in ritorsione) dalla Cina stessa.
  • Mercato immobiliare: s’intensifica lo sforzo del governo per evitare una crisi. Il settore dell'edilizia abitativa rimane in profonda caduta, con un calo sensibile delle vendite e di avviamenti, completamenti e finanziamenti di nuovi cantieri. Agli effetti diretti si aggiunge il calo delle vendite di terreni, con possibili ripercussioni negative sulle finanze dei governi locali. Per sostenere gli acquisti di immobili, il governo centrale sta predisponendo molteplici misure di contenimento dei tassi sui mutui, anche attraverso una loro indicizzazione su base geografica rispetto all’andamento dei vari mercati immobiliari locali.
  • La popolazione cinese si contrae per la prima volta dal 1961. La popolazione nel 2022, pari a 1,4 miliardi, è diminuita per la prima volta in 60 anni (di 850.000 unità rispetto all’anno precedente). Il tasso di natalità, in calo già da anni, ha toccato un minimo storico: 6,77 nascite ogni 1.000 persone (da 7,52 nel 2021). Questo rischia di pesare sulle prospettive di crescita del paese: serve ora un cambio di passo tecnologico, un aumento della produttività che compensi, in prospettiva, la minore crescita della forza lavoro e degli occupati. La tendenza demografica che vira al ribasso rischia anche di aggravare le altre problematiche di un’economia in rallentamento (come avviene da tempo in vari paesi occidentali).
  • La Cina potrebbe essere un mercato più importante per l’export italiano. Le imprese italiane sono poco esposte verso la Cina, che pesa solo per il 2,9% del nostro export, rispetto al 7,6% di quello tedesco e al 4,8% di quello francese. Se l’Italia avesse un’esposizione simile a quella francese, ne risulterebbero 10 miliardi di euro di export aggiuntivo per le nostre imprese. Una maggiore esposizione implicherebbe maggiori rischi, ma data la base di partenza ridotta e l’ampiezza del mercato di sbocco, le opportunità dovrebbero prevalere.
    • Pesa l’incertezza nelle relazioni USA-Cina. I due giganti economici si contendono il primato tecnologico mondiale e la rapida ascesa dell’economia cinese ha destato preoccupazioni oltreoceano, avviando una serie di misure protezionistiche da parte degli USA già sotto la presidenza Trump. Il livello di tensione si è acuito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha visto la Cina mantenere un ruolo di partner commerciale alternativo per la Russia, nelle esportazioni di gas e petrolio. Ha toccato un massimo dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan nell’agosto 2022, con il seguente intensificarsi di esercitazioni militari da parte della Cina nell’area. La Cina non ha interesse ad acuire le tensioni geopolitiche con gli USA: la normalizzazione le consentirebbe di accrescere il proprio potenziale e rendere più indipendente la crescita dai paesi avanzati. Il protezionismo, invece, frena l’espansione del commercio e acuisce la regionalizzazione degli scambi.